La luce che filtra tra gli alberi


Il contrasto tra la luce del sole e l'ombra del bosco credo possa rappresentare, per chi come me e l'amica e collega Antonella Cuppari l'ha attraversata, l'esperienza dell'anoressia. Antonella e io abbiamo iniziato da poco più di un anno una ricerca auto-etnografica e performativa sul tema. 
Oggi un'altra cara amica, Cristina Arcidiacono, ha parlato del nostro lavoro nella rubrica "Finestra Aperta" della trasmissione di Rai Radio Uno "Culto Evangelico".

Condivido il testo letto da Cristina che potete riascoltare su Rai Play Sound nella puntata del 28 gennaio 2024 di Culto Evangelico (da 18'12" alla fine).

“Hai paura?” Chiede la dottoressa a Nina, nome di fantasia, in una stanza del pronto soccorso pediatrico dove la ragazza è stata portata, perché ha freddo, non si regge più in piedi. “Sì”. Risponde Nina. “Hai paura di avere fame?” “Sì” risponde la ragazza. 
Il 15 gennaio il governo ha tagliato un fondo di 25 milioni di euro in due anni istituito con la Legge di bilancio 2022 e destinato alle Regioni per implementare o incoraggiare la nascita dei centri che si occupano di disturbi dell’alimentazione. Sembra che negli ultimi giorni, a motivo delle tante proteste, il ministro della salute abbia garantito 10 milioni per il 2024. 
Già nel corso dell’anno passato il governo aveva trattato, a modo suo, il tema, con un disegno di legge che prevedeva pene fino al carcere per chi istighi all’anoressia, in una visione riduttiva e caricaturale, se non fosse pericolosa, che inserisce queste esperienze di sofferenza dai molteplici fattori, psichici, sociali, evolutivi, nel tritacarne del rapporto causa effetto: è colpa dei social, della mamma, delle modelle. 
Di fronte all’aumento delle percentuali di preadolescenti e adolescenti che attraversano la porta strettissima dell’anoressia e degli altri disturbi legati alla nutrizione, la reazione adulta è quella armata, la punizione, e quella che viene chiamata “prevenzione” resta sulla superficie delle cose.
Silvia Luraschi e Antonella Cuppari sono due ricercatrici e operatrici sociali che da circa un anno stanno svolgendo una ricerca etnografica collaborativa, partendo dalla consapevolezza che le rispettive esperienze di anoressia hanno formato e continuano a nutrire il loro sguardo di operatrici che svolgono un servizio di cura con famiglie vulnerabili e persone con disabilità. Un loro articolo dal titolo “Quante storie! Narrare l’esperienza dell’anoressia per riflettere sul lavoro di cura”, riprende uno degli approcci più comuni nei confronti delle giovani persone anoressiche: “Non fare storie e mangia”! A ricordare anche la severità del linguaggio adulto che evita, rimuove la difficile chiamata di accogliere il peso del dolore di chi, in qualche modo, vi passa attraverso. Nella loro ricerca provano a fare emergere la voce delle giovani: la questione della voce è centrale, qual è la mia voce, quale quella del disturbo, quale quella che non viene ascoltata? Antonella e Silvia partono dai corpi, dalla gravità dei corpi, il peso di esserci, che diventa comunicazione sanitaria, la gravità dello stato di salute, e relazionale, il peso del sentirsi sotto osservazione. Scrivendo e riscrivendo, leggendosi reciprocamente, si possono trovare parole nuove per dirsi e per raccontarsi, e la tenerezza, lo sguardo non più giudicante su di sé, può diventare trasformazione, consapevolezza di un dolore che può essere integrato, perché vissuto e non negato.
Trovo questa esperienza molto evangelica, nel senso che “porta a” e “si fa portare da” la buona notizia che la Parola che si è fatta carne, è corpo vulnerabile, esposto e che si espone alle intemperie della vita. Non il corpo invincibile, ma il corpo esitante, che domanda, che sente, che sta nella sofferenza, propria e altrui, e anche per questo, nella vita. Sembra che la richiesta fatta alle giovani generazioni, ma anche alle altre, sia di essere sempre produttivi, e dunque consumatori, fin da piccoli, rendendo la scuola una gara, sani, in un’accezione in cui “normale” significa senza dolore, senza sofferenza. Lungi dal pensare il dolore come qualcosa di salvifico, rifletto su come le chiese, comunità che sono chiamate a essere intergenerazionali, possano essere laboratori di corpi amati e riconciliati, di sguardo scevro dal giudizio, abitato dalla tenerezza. Per imparare insieme a sostenere i pesi le une degli altri, e, insieme, trasformarli in relazioni rinnovate.
(Cristina Arcidiacono, 28 gennaio 2024)

L'articolo citato da Cristina s'intitola "Quante storie! Narrare l'esperienza dell'anoressia per riflettere sul lavoro di cura" (Cuppari & Luraschi, 2023) ed è stato pubblicato nei mesi scorsi sulla rivista pedagogica Medical Humanities & Medicina Narrativa ed è scaricabile gratuitamente. Lo trovate alle pagine 297-306.








foto: Tom Troppe, foglia a New Orleans, USA inverno 2024.